Spoilerando le ultime due puntate del finale di stagione di Games Of Thrones (si astenga dalla lettura chi non le ha ancora viste!), potremmo dire, senza tema di smentita, che l’ombra di Daenerys si allunga minacciosamente su Google, la società californiana che ha deciso – con una rocambolesca inversione ad U rispetto al suo passato – di seguire il Presidente Trump nella guerra dei dazi contro la Cina e rompere i ponti con Huawei, il vendor che, dopo la sud-coreana Samsung, più ha reso popolare il sistema operativo Google Android nel mercato smartphone.
La sindrome di Daenerys – che all’improvviso “impazzisce”, cede alla furia irrazionale e, novella Medea, con spietata efferatezza e piglio da regina sanguinaria, con un gesto repentino, cancella un destino di eroina positiva, costruito passo a passo in ben otto stagioni di serie Tv – sembra essersi impossessato di Google. Come se Trump, tutto “fuoco e furia“, travestito da drago, avesse scorrazzato per i cieli Google – Daenerys (la madre dei draghi, la spezzacatene ovvero la liberatrice deli schiavi…), fino alla scena madre della brutale distruzione di Approdo del Re e dei suoi inermi abitanti.
Non ci stupiamo dell’allineamento al divieto imposto, per decreto, dall’amministrazione Trump all’industria tecnologica. Ma vedere l’azienda che coniò il motto Don’t Be Evil, e che in Europa recita il ruolo della Paladina della libertà d’espressione contro la riforma del copyright UE, indossando le succinte vesti del Davide contro Golia, allinearsi come un soldatino ai diktat di Darth Vader, suscita una certa impressione.
Huawei è il secondo vendor del mercato smartphone, dopo il sorpasso di Apple. Ha contribuito a rendere Android, il sistema di Google, la piattaforma mobile più popolare nel mercato smartphone: solo Samsung, la prima della classe per vendite, ha fatto di più.
Certamente, il Presidente Trump ha i suoi motivi e sta presidiando la supremazia americana nel mercato IT, soprattutto in vista del passaggio al 5G, dell’avvento dell’era dell’Intelligenza Artificiale (AI), delle self-driving cars, le automobili a guida autonoma, nell’Automotive eccetera. Ma qui non è sotto la lente la politica statunitense.
Quello che vogliamo analizzare è il ruolo di Google. Ed è come se Microsoft, ai tempi dell’acquisizione dei Pc di IBM da parte di Lenovo, avesse smesso di vendere Windows ai cinesi, perché sul quartier generale di Armonk avrebbe sventolato la bandiera rossa. Microsoft, che Google ha sempre considerato il “diavolo”, cui contrapporsi col suo celebre mantra Don’t be Evil, continuò a dare Windows in licenza a Lenovo.
Ora mettiamoci nei panni di un vendor non statunitense: chi garantisce che, dopo Zte e Huawei, non entrino altre aziende globali nella blacklist, la lista nera delle imprese accusate di mettere a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti? E perché un vendor non a stelle e strisce dovrebbe ancora fidarsi di Google, dopo l’improvviso voltafaccia a Huawei?
Google è l’azienda che, pur perdendo la battaglia contro la cyber-censura del “Graet firewall”, la grande muraglia digitale cinese, si distinse per il coraggio mostrato contro Pechino. Il motore di ricerca di Mountain View, che fu in prima linea nel denunciare gli abusi della censura cinese sul Web, non è più il Davide contro Golia, ma una multinazionale qualunque che si allinea con l’Uomo Forte di Washington, il Presidente USA che ha lanciato la guerra dei dazi, che pretende il muro con il Messico, che non si è piegato neanche dopo quattro settimane di shutdown, che ha posto fine al programma di protezione dei “dreamers”, il Presidente più amato dalla lobby delle armi, dall’Alt-Right e dai sovranisti di tutto il mondo. L’opposto di Barack Obama, in poche parole.
E proprio l’ex presidente, circa un anno fa al MIT di Boston, disse che i colossi della Silicon Valley, soprattutto Google e Facebook, suoi alleati ai tempi della prima elezione, si stanno trasformando in «uno strumento» che promuove la polarizzazione delle opinioni: «Difficile che una democrazia possa continuare a funzionare in una situazione simile» perché le piattaforme stanno «segregando gli americani in due realtà completamente differenti: luoghi nei quali non solo le opinioni ma anche i fatti più elementari vengono contestati e rimessi in discussione».
Dal Don’t be Evil alla Sindrome di Daenerys. Oggi la lingua di fuoco viene sparata dal drago contro un vendor inserito in una blacklist, anche se non sono state fornite inconfutabili prove a sostegno delle accuse. Domani, chissà. Magari in un futuro, dominato dall’intelligenza artificiale, un’azienda ci riconoscerà con il Riconoscimento Facciale, dirà che non siamo utenti graditi, a causa delle opinioni espresse su un social media, e cesserà di fornirci update di sicurezza, informazioni sul motore di ricerca, apps da scaricare, dopo averci inserito nella Lista Nera degli Utenti Inaffidabili.
Distopie? Proprio in Cina vige il Sistema di informazione sulla reputazione personale, in grado di monitorare il grado di attenzione di ciascuno studente cinese durante le lezioni (e anche a casa, quanto tempo è dedicato ai compiti, quanto l’alunno si distrae…) e il grado di affidabilità dei cittadini nella vita quotidiana: un pervasivo tecno-controllo che già nel 2018 ha impedito a 17,46 milioni di cinesi di comprare biglietti aerei e a 5,47 milioni di prendere il treno ad alta velocità. Stiamo entrando nell’era della Cittadinanza a Punti: i cittadini irreprensibili in serie A e gli Inaffidabili nei gironi di B, C1, C2 e così via.
E così le aziende: proprio Pechino ha deciso che 3,59 milioni di imprese non erano degne di candidarsi per appalti pubblici o chiedere linee di credito alle banche.
Ma che siano Washington o Pechino ad attribuire Patenti di Credibilità ai loro alleati, fa parte del gioco della geopolitica. Vedere invece Google, il motore di ricerca che aizza i nostri figli a difendere YouTube dalle grinfie della riforma del copyright UE, farsi promotore della politica di Trump, passando dal ruolo di Paladino dei Diritti digitali a quello di Quinta Colonna dell’amministrazione Trump, fa effetto. Sì, un po’ ci ricorda l’inversione a U di Daenerys Targaryen mentre cavalca il suo drago contro il suo stesso destino.
Mirella Castigli (co-autrice di Mela Marcia)
@CastigliMirella