Il Lazio, il cui Presidente di Regione Nicola Zingaretti è risultato positivo al test del Coronavirus, ha messo sul tavolo 3,5 milioni di euro per la scuola digitale, mentre gli istituti sono chiusi in tutta Italia per contenere la diffusione del contagio, e insegnanti e dirigenti si preparano per fare e-learning, la didattica a distanza di cui si parla da decenni, senza compiere un passo avanti ad ogni back to school, il ritorno sui banchi a settembre. La Vice Ministro all’Istruzione Anna Ascani ha annunciato che i docenti che hanno seguito i Webinar del Miur sono ormai 2mila. Per il digitale, fra scuola e smart working (il lavoro agile in ufficio), ha fatto di più il Coronavirus in due settimane che vent’anni di inutili convegni… fra sedicenti maschi Alfa (sì, perché a questi convegni latitano le donne, anche molto competenti, mentre nei panel proliferano a vario titolo gli uomini).
Dopo anni di chiacchiere e tanta fuffa, sia chiaro: siamo all’anno zero. MA qualcosa si muove e velocemente.
Microsoft offre gratuitamente alle scuole una piattaforma completa per le lezioni, registrazioni e conversazioni: Microsoft Teams su Office 365 Education. Molto gettonato è anche Google Classroom, piattaforma che permette alle classi di comunicare, risparmiare tempo e organizzare il lavoro. Per le classi virtuali è usato anche Edmodo, che si presenta come un qualsiasi social network, ma offre un ambiente educativo online, in grado di mantenere motivati gli studenti, attraverso una comunità online, e di offrire agli studenti l’opportunità di studiare al di fuori della classe, contribuendo al coinvolgimento (engagement) e alla motivazione, promuovendo il senso di appartenenza e aiutando gli studenti a monitorare ciò che sta accadendo nelle lezioni, per non perdersi nulla, anche se sono assenti per motivi di salute. Kahoot o Quizlet, applicazioni per lezioni brevi (dieci-quindici minuti di parole ed interazioni progressive) e attività con feedback immediato: a voce, per iscritto o con un emoticon.
Lo smart working, ovvero il lavoro agile disciplinato dalla legge 81/2017, è una modalità organizzativa di lavoro senza vincoli di orario o di luogo, ma sfruttando dispositivi tecnologici, che ha già dimostrato forti incrementi di produttività e risparmio, sia nei costi che nelle emissioni di CO2 per gli spostamenti dei dipendenti. Dall’analisi dell’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano emerge che nel 2019 570mila dipendenti hanno svolto lavoro agile, con un incremento del 20% rispetto al 2018. Le grandi aziende che già usufruiscono di forme di lavoro «a distanza» sono 58 su 100, ma il 7% ha già messo in campo iniziative informali e un 5% pensa di attivarle entro i prossimi 12 mesi. Purtroppo solo il 12% delle PMI fa smart working e ben il 51% esprime totale disinteresse all’implementazione di progetti di lavoro agile. Fa meglio la PA con un 16% di amministrazioni pubbliche impegnate e un disinteresse basso al 7%. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’aumento di produttività delle aziende italiane, adottando un modello di lavoro agile maturo, raggiungerebbe i 13,7 miliardi di euro, con un risparmio annuale individuale di 135 kg di Co2 per ogni lavoratore. E sappiamo che la produttività è il vero tallone d’Achille italiano: uno dei parametri in cui il nostro Paese è fanalino di coda da decenni. La flessibilità del lavoro è invece alta in Germania (80%), Olanda (75%), Usa (69%) e Regno Unito (68%), Paesi ad alta produttività, non a caso.
Secondo IDC, a livello globale la stima della spesa in tecnologie e servizi per la Digital Transformation sarà pari a 7.400 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2023, anno in cui rappresenterà oltre la metà degli investimenti ICT globali.
@CastigliMirella