Quando la Bce ha pubblicato la «Guida per la verifica delle richieste di licenza bancaria provenienti da società del mondo fintech», ha dato la sveglia al settore, che ha scoperto di non godere di corsie preferenziali, bensì di un supplemento regolatorio (leggi: verranno chiesti maggiori capitali rispetto agli istituti tradizionali per tutelare i correntisti). I protagonisti del Fintech sono non solo giovani startup, ma anche società tradizionali che stanno implementando il nuovo modello di business, unite da un fil rouge: offrire servizi bancari in versione digitale, robotizzata (i robo-advisor, ma l’approccio non sempre è automatizzato) e in generale innovativa, innovando lo scenario dell’industria finanziaria. Qui non c’è la contrapposizione fra outsider e colossi della tradizione (come avvenuto nella musica o nell’editoria), ma c’è un mondo che cambia e un’industria che cerca di non perdere il passo. L’obiettivo del Fintech è offrire servizi migliori, al passo coi tempi, ma soprattutto efficienza, trasparenza e semplicità, laddove si annidavano inefficienze, opacità e ridondanze.
Le società del fintech spaziano dal contesto dei pagamenti, dove il fintech ha avuto origine, fino all’ambito della gestione del risparmio familiare fino ad arrivare ai servizi bancari.
Per dare qualche numero: il primo fondo monetario al mondo, forte di 210 miliardi di dollari gestiti (a giugno, erano 165 miliardi a marzo), non è JPMorgan, bensì il cinese Yu’e Bao, legato ad AliPay (la piattaforma di pagamento del colosso cinese dell’ecommerce, Alibaba, fondata da Jack Ma) che raccoglie il denaro accantonato dalle persone per i più svariati motivi (restituzione di merce comprata online a tesoretti per futuri acquisti). A Bloomberg, Chen Long, top manager di Alibaba, ha spiegato che in Cina il Fintech è “uno stile di vita“, “una combinazione di servizi interconnessi“: i cinesi stanno dando l’addio al contante e pagano con il QR di AliPay il caffè al bar, la spesa al supermercato, il conto del ristorante, ma anche quello dell’albergo all’estero e lo shopping. Dopo la scansione con lo smartphone, si preme su Pay e il gioco è fatto: anche alle bancarelle al mercato (il concorrente di AliPay è WeChat Pay, il sistema di pagamenti mobili della chat di Tencent).
In Italia da poco è sbarcato Apple Pay (anche se in maniera deludente, limitato a Unicredit e poco altro, e solo da luglio compatibile con American Express: nel 2015 le transazioni arrancavano al volume di 10.9 miliardi di dollari, ma nel 2016 il servizio ha registrato un incremento a tripla cifra del 450%) e presto arriverà Samsung Pay (compatibile con i Galaxy e Gear), ma già esistono i circuiti Tinaba, Satispay (startup italiana operativa dal 2015 con più di 130.000 utenti attivi e un volume d’affari in espansione), Mybank o Jiffy, oltre a PayPal e Amazon (non solo attivo nei pagamenti mobile, ma soprattutto con l’architettura cloud di AWS, impiegata dal mondo Fintech sia per agevolare lo sviluppo e rilascio di applicazioni sia per motivi di sicurezza, in quanto i dati presenti nella nuvola non sono né leggibili né scaricabili).
In Italia non esisteva ancora un hub fintech, ma da qualche giorno è stato annunciato Milan Fintech District, promosso da progetti interessanti come il Fintech District di Sellalab, la piattaforma di open innovation del Gruppo Banca Sella e sviluppata in sinergia con Copernico. Il Fintech District dal nuovo palazzo S32, nel quartiere Isola, che si candida come polo d’attrazione per le startup straniere.
Il fintech district mette insieme startup, imprenditori, investitori e università ed istituzioni finanziarie, per sostenere le aziende fintech italiane, promuovendo lo sviluppo dell’industria finanziaria del futuro e rendendo Milano capitale dell’innovazione finanziaria, in modo da competere con gli altri hub europei. Il distretto Fintech vuole favorire collaborazioni industriali, catalizzare nuovi investimenti da parte deel venture capital, attrarre risorse umane di talento e in generale valorizzare la crescita del settore.
Il risparmio gestito rappresenta uno dei settori che, nell’industria finanziaria, si è innovato di meno nell’ultimo mezzo secolo. Tuttavia la fruizione dei servizi di consulenza e finanziari, su ampia scala, assomiglierà infuturo sempre più a un’utility, come la fornitura di gas o di energia elettrica. L’offerta dei servizi dovrà evolvere per rispondere alle nuove esigenze espresse dai risparmiatori. La consulenza finanziaria finora era un servizio elitario e costoso, invece sarà a portata di tutti e sostenibile, grazie al supporto delle nuove tecnologie e dal digitale.
La Digital Transformation del settore finanziario si basa anche sull’implementazione ed adozione del cloud computing. La “nuvola” nel settore dei servizi finanziari rappresenta in tutta Europa lo strumento che consente di avere servizi finanziari più veloci e con prezzi migliori. Il Fintech si sta focalizzando sul cloud: dal mobile payment alle operazioni di banking in mobilità, passando per la protezione degli investitori.
L’impatto più immediato della Digital Transformation in ambito finanziario è l’incremento delle transazioni. Un solo dato: se il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA), gruppo bancario multinazionale spagnolo, nel 2016 gestiva più di 540 milioni di transazioni al giorno, è pronta a supportare fino a un miliardo di transazioni in tempo reale (e si è preparata implementando la migrazione ad AWS).
Il principale vantaggio offerto dal settore FinTech consiste nel fare le stesse cose che si facevano prima, ma in modo più agile e con il medesimo livello di sicurezza.
Tornando alla Bce, si prevede che la versione definitiva delle linee guida per l’esame delle richieste di licenza bancaria da parte del Fintech, sarà disponibile per la fine dell’anno: dal 2018 vi si uniformeranno le singole banche centrali nazionali, a cui toccherà la gestione delle licenze. Il documento riguarderà solo le banche fintech, cioè i soggetti la cui attività fintech consiste nel raccogliere depositi od altri fondi.