Intervista a IDC: L’Italia sconta un ritardo di anni, ma Industria 4.0 è il primo passo per una vera e propria politica industriale europea

ScenariDigitali.info intervista gli analisti di IDC Italia, una delle principali società d’analisi e consulenza in ambito ICT e innovazione, per fare il punto sui temi cruciali dell’Italia di oggi: Industria e Impresa 4.0, startup, competenze digitali, e-commerce di terza generazione, Intelligenza Artificiale (AI), Big Data eccetera. Hanno risposto alle nostre domande, nei rispettivi ambiti di competenza, i seguenti analisti: Lorenzo Veronesi, Research Manager, IDC Manufacturing Insights EMEA; Giancarlo Vercellino (Research & Consulting Manager, IDC Italia); Giulio Raffaele, Senior Research Analyst, IDC Retail Insights EMEA.

IDC: Industria 4.0 è il primo passo per una vera e propria politica industriale europea
IDC: Industria 4.0 è il primo passo per una vera e propria politica industriale europea

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Il ritardo tricolore nell’Intelligenza artificiale (AI)

In Italia supera la metà (il 56%) il numero di aziende che è scesa in campo con iniziative di intelligenza artificiale (AI), progetti ancora in fase embrionale, contro il 70% di Francia e Germania. in una fase embrionale di utilizzo. So i dati che emergono dall’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, che ha condotto l’analisi su 721 imprese e 469 casi di utilizzo di AI.

Il ritardo tricolore nell'Intelligenza artificiale (AI)
Il ritardo tricolore nell’Intelligenza artificiale (AI)

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VIDEO: Quanto vale l’intelligenza artificiale (AI)

Le maggiori aziende di IT al mondo sono alla caccia di talenti nell’intelligenza artificiale (AI). Le acquisizioni di startup nei settori dell’intelligenza artificiale e del machine /deep learning hanno registrato un boom nel 2016, senza perdere slancio neanche nell’anno in corso.

Creati con l'AI da Intel, gli effetti speciali in stile Snapchat nel videoclip di una pop-star cinese
Creati con l’AI da Intel, gli effetti speciali in stile Snapchat nel videoclip di una pop-star cinese

Sono stati investiti 17,6 miliardi di dollari dal secondo trimestre del 2012 allo stesso periodo del 2017, secondo CB Insights. NextValue stima una spesa intorno ai 2,15 miliardi di dollari in 15 mesi.  Continue reading “VIDEO: Quanto vale l’intelligenza artificiale (AI)”

Huawei Mate 10, lo smartphone AI che riconosce ciò che inquadra

Huawei ha presentato l’atteso Mate 10. Srgni particolari: l’intelligenza artificiale (AI) nell’hardware, big screen, smussature più sottili. L’azienda cinese affianca alla versione 10 e 10 Pro anche quella con Porsche Design. Ma vediamo le specifiche tecniche: Mate 10 ha uno schermo LCD da 5.9 pollici (con risoluzione da 2560 x 1440 pixel), mentre il Mate 10 Pro vanta un display OLED da 6 pollici (con risoluzione da 2160 x 1080 pixel).

Huawei Mate 10, lo smartphone AI che riconosce ciò che inquadra
Huawei Mate 10, lo smartphone AI che riconosce ciò che inquadra

Il Pro sembra più piccolo grazie all’aspect ratio da 18:9. Il 10 è spesso 8.2 mm e posiziona il sensore per le impronte digitali; il Pro è più sottile, 7.9 mm e ospita il sensore sul retro. Il Pro è resistente all’acqua (IP67) e ha un IR blaster, mentre il Mate 10 mantiene il jack audio e la card slot per le microSD.  Continue reading “Huawei Mate 10, lo smartphone AI che riconosce ciò che inquadra”

SLIDESHOW: Pixelbook, Pixel 2 e 2 XL: l’hardware Made by Google con l’AI dentro

L’intelligenza artificiale (AI) è il vero fil rouge dell’evento di ieri sera di Google, in cui sono stati presentati il chromebook ibrido (2-in-1) Pixelbook, gli smartphone Pixel 2 e 2 XL: l’AI sale a bordo degli smartphone e perfino di una fotocamera che decide da sola quando scattare. Invece gli auricolari wireless Pixel Buds, con Google Assistant, traducono in tempo reale in quaranta lingue grazie a Google Translate.

Google Pixelbook, Pixel 2 e 2 XL: l'hardware con AI dentro
Google Pixelbook, Pixel 2 e 2 XL: l’hardware made by Google con l’AI dentro

I nuovi Pixel, gli smartphone con il retro più sexy, sono stati presentati, all’indomani (o quasi) dell’acquisizione per circa un miliardo di dollari di circa 2mila ingegneri e developer dall’azienda taiwanese HTC. Ma vediamo i nuovi smartphone nel dettaglio, specifica per specifica, ricordandoci che hanno un segno particolare: l’AIContinue reading “SLIDESHOW: Pixelbook, Pixel 2 e 2 XL: l’hardware Made by Google con l’AI dentro”

Lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale (AI)

L’intelligenza artificiale (AI) di Google ha il doppio del QI di Apple Siri, ma entrambe verrebbero battute da un bambino dell’età di sei anni. Sono i risultati a cui è giunto uno studio condotto nel 2016, secondo il quale l’AI di Google è salito a 47.28 (molto più di quanto avesse nel 2014), mentre Siri ha totalizzato un punteggio di 23.94 punti. La cinese Baidu ha messo a segno 32.92 punti, mentre Microsoft Bing ne conteggia 31.98.

Lo stato dell'arte dell'intelligenza artificiale (AI)
Lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale (AI)

L’AI di Google è salita alla ribalta quando AlphaGo ha battuto il campione di Go in Cina, il leggendario Lee Se-Dol, e poi Ke Jie, il miglior giocatore di Go al mondo. Go è un gioco di strategia complesso ed è stato il banco di prova dello stato dell’arte dell’intelligenza artificiale (AI). AlphaGo è un software per il gioco del go sviluppato da DeepMind, impresa britannica di intelligenza artificiale, fondata nel 2011, acquisita da Google nel 2014 ed oggi controllata da Alphabet, la capofila del motore di ricerca di Mountain View.  Continue reading “Lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale (AI)”

Per la prima volta Bitcoin supera l’oro e Tesla la GM. Ma basteranno i progressi IT a frenare il declino culturale della Silicon Valley?

Nessuno mette in dubbio la capacità di innovare delle aziende tecnologiche, anche se il rallentamento è evidente: nel 2004, all’indomani della quotazione di Google, dovevo scrivere 15-20 news al giorno, per stare dietro al lancio di nuovi servizi, oggi bastano 3-5 news quotidiane ed a volte sono perfino troppe.

Ma non è neanche questo il punto: la disruption è andata parecchio avanti, oggi l’Intelligenza Artificiale (AI) è una realtà e fa progressi day-by-day. Tuttavia, il declino culturale della Silicon Valley sembra segnato: Brad Stone di Bloomberg ha spiegato come Uber e Airbnb stanno cambiando il mondo, ma nessuno pensa più che questo progresso conduca a una società migliore. Anzi.

L’automazione (sia software con l’AI che hardware con i robot) ingurgita posti di lavoro, come il terrificante Pesce-cane inghiottisce Pinocchio nel libro di Collodi. La vita digitale divora la nostra privacy, ormai ridotta a feticcio, nonostante l’adozione della crittografia end-to-end, come pannicello caldo per passare un colpo di spugna sul caso NSA. Ma a strappare l’aura di eroi ai protagonisti della Silicon Valley è anche l’ascesa di personaggi spregiudicati, come Marissa Mayer, il Ceo di Yahoo! che guadagnerà 186 milioni di dollari come risultato dello spezzatino (la cessione di asset core a Verizon) e del silenzio su due gravissimi casi di data breach (uno ha compromesso gli account di un miliardo di utenti: un miliardo, non quattro gatti). Mayer, ex enfant prodige di Google, ha sprecato un paio di miliardi in decine di acquisizioni, che non hanno rivitalizzato Yahoo!, ma ne hanno accelerato il declino, fino allo showdown, la svendita di un brand storico della valle del silicio. Ma è forse meglio il controverso Travis Kalanick, il Ceo di Uber finito nel minirino dei media per varie accuse?

Per la prima volta Bitcoin supera l'oro e Tesla la GM. Ma basteranno a frenare il declino culturale della Silicon Valley?
Per la prima volta Bitcoin supera l’oro e Tesla la GM. Ma basteranno a frenare il declino culturale della Silicon Valley?

In questo scenario, si aggira non solo lo spettro dell’oligopolio, ma quello ben più opprimente dei feudatari della Rete. Secondo Pivotal Research, Google e Facebook detengono il 99% della crescita del digital advertising nel 2016. Google cattura l’88% del mercato dei motori di ricerca. Facebook, tramite la triade della messaggistica (Whatsapp e Facebook Messenger) più Instagram – detiene il 77% dei social media. Amazon (che non sta in Silicon Valley, ma ne condivide lo spirito) controlla oltre metà dell’e-commerce, ma raggiunge il 74% delle vendite di e-book. Apple fa il pieno dei guadagni: incassa il 79,2% dei profitti mondiali degli smartphone. Startup come Uber e AirBnb vengono continuamente contestate nel mondo, perché la sharing economy modifica i rapporti fra produttori e consumatori, trasformando i consumatori in nuovi produttori, ma contribuendo all’impoverimento ed alla de-professionalizzazione della classe media.

Jonathan Taplin: Move Fast and break things.
Jonathan Taplin: Move Fast and break things.

Nei giorni scorsi, per la prima volta Bitcoin ha superato il valore dell’oro e Tesla ha messo la freccia sulla GM a Wall Street. Ma la domanda da porsi è un’altra: basteranno queste notizie a frenare il declino culturale della Silicon Valley? O non si sta, progressivamente, erodendo il capitale di simpatia/utopia delle Big IT, accusate di pagare le imposte dove fa più comodo, di aiutare la diffusione di Fake news (mettendo a repentaglio la democrazia) ed additate di portare l’orologio della storia indietro ai tempi delle gabelle del sistema feudale? Forse un’operazione simpatia, questa volta, non sarà sufficiente per riportare in auge i nuovi Padroni delle Ferriere Digitali, la cui concentrazione di ricchezza e potere è perfino peggiore di quella di John Rockfeller e J.P. Morgan, come osserva con acume Jonathan Taplin.

L’Industria 4.0 tricolore corre a due cifre

Produrre bene, unendo il bello alla qualità, non basta più: bisogna che la manifattura italiana impari a creare con efficienza, coniugando la passione di chi produce con le radici culturali e con il sistema di cui è espressione. L’Industria 4.0 è quell’insieme di tecnologie formato dagli strumenti digitali che innescano la trasformazione digitale (ormai trasversale), dalle stampanti 3D (vendite in crescita a livello globale del 32% secondo Context), robotica e intelligenza artificiale (AI) per prendere decisioni efficaci in un mondo complesso, Internet of Things (IoT, che nel 2016 valeva 2,8 miliardi di euro, in crescita del 40%).

Industria 4.0 tricolore corre a due cifre
Industria 4.0 tricolore corre a due cifre

Industry 4.0 tricolore corre a doppia cifra. Gli ordini di macchinari sono in aumento del 22%, anche se l’export cresce solo dello 0,3%. Ma la tempistica del piano nazionale di Industria 4.0 sta funzionando: si svecchiano macchinari, con 13 anni d’età media sui bulloni, con tecnologie che abilitano la digital transformation, fortemente voluta dal ministro Carlo Calenda. Ora si aspetta il bando per i Competence Center, per selezionare gli atenei destinati a far da ponte fra università ed imprese, per promuovere il trasferimento di tecnologie in grado di incrementare la competitività del sistema.

Per imprimere maggiore slancio, forse sarebbe necessario rendere strutturale l’iper ammortamento, che finora ha fatto registrare +13,9% nei contratti e +11% in valore nel primo trimestre 2017 (dati Assilea).

Mirella Castigli

Robot vs. denatalità: la fine del lavoro o un’opportunità per mettere il turbo alla produttività?

Secondo Ian Bremmer, esperto di geopolitica e fondatore di Eurasia Group, l’automazione avrà un impatto enorme sui posti di lavoro in Occidente: in Giappone è a rischio il 21% dei posti di lavoro, in UK il 30%, in Germania il 35%, negli USA il 38% (fonte: Pwc). Bill Gates, co-fondatore di Microsoft e filantropo, ha lanciato la provocazione di tassare i robot (l’hardware e non il software, visto che l’azienda che lo porterà a diventare il primo trilionario della Storia si occupa di sistemi operativi e software, per lo più).

Senza dubbi, sono numeri che fanno tremare le vene e i polsi. Non bastavano le Zombie economics, la trasformazione digitale e la globalizzazione a mettere sotto pressione il mondo del lavoro: ora pure robot e intelligenza artificiale (AI) minacciano di far sparire mestieri come in un gioco di prestigio. Dunque, ci si interroga se i costosissimi programmi di Reddito di cittadinanza (chiesti a gran voce dall’italiano M5S e dal socialista francese Hamon, che ha scalato le primarie d’oltralpe proprio con lo slogan del reddito universale). Paure da neo-luddisti? Ansia da cambiamenti paradigmatici?

Se in effetti i robot sostituiranno lavori ripetitivi (perfino in cucina), l’intelligenza artificiale mette nel mirino le professioni cognitive, “dagli avvocati ai commercialisti, dai medici agli interpreti”, senza dimenticare i giornalisti. Il salario di cittadinanza placa l’ansia di una devastante disoccupazione di massa. Ma poi ci sono i fatti. Lo zoccolo duro del reale.

E allora guardiamo i numeri: America e Germania hanno la disoccupazione al minimo storico (a differenza dell’Europa del Sud, che arranca a recuperare i posti di lavoro bruciati dalla crisi dei debiti e dal conseguente credit crunch). In compenso, Germania, Italia e Giappone vanno incontro (ognuno col suo passo) all’inverno demografico: la denatalità affligge Italia e Germania, per esempio. Allo stesso tempo i cosiddetti movimenti “populisti” (o sovranisti) si oppongono con forza all’immigrazione, all’ingresso cioè di nuova forza-lavoro nei Paesi dove la denatalità mette a rischio sistemi pensionistici – sostenibilità del Welfare e sistema industriale (l’anno scorso la cancelliera Merkel ha accolto un milione di profughi in Germania, ma è stata aspramente criticata perfino dal neo-presidente Trump: ma l’industria tedesca ha bisogno di operai, anche nell’era di Industry 4.0).

«Nel corso della storia l’espansione dell’economia globale è stata alimentata da due motori: l’aumento della forza lavoro e la maggiore produttività dei lavoratori. Questi due fattori sono andati perlopiù di pari passo. Tuttavia ci sono stati momenti in cui uno dei due motori è andato in panne, scaricando tutto il peso sull’altro», spiegano gli esperti di Picet, gruppo svizzero specializzato nella gestione patrimoniale e del risparmio.

All’ultimo WEF di Davos, proprio laddove l’anno scorso era stato lanciato l’allarme dei robot-ruba-lavoro, Accenture ha presentato uno studio che illustra come evolverà la forza lavoro nei prossimi anni: l’AI sarà sempre più umana, ma le persone devono acquisire più e-skill, più competenze. Perché il punto è che la rivoluzione tecnologica in atto vuole imprimere nuovo slancio alla produttività. E solo Dio sa quanto ce ne sia bisogno (in Italia, in primis).

Dalla ricerca Accenture, intitolata “Harnessing: Revolution: Creating the Future Workforce”, presentata a metà gennaio a Davos, emerge che l’87% dei dipendenti non esprimono pessimismo in merito all’impatto delle tecnologie digitali sulla propria vita professionale: più di 8 persone su 10 stimano che parte del proprio lavoro sarà automatizzato entro 5 anni. Inoltre, l’80% è sicuro che godrà di maggiori opportunità ed affronterà minori difficoltà grazie all’automazione delle tecnologie. L’84%, addirittura, mette gli occhiali rosa per i cambiamenti che si verificheranno nel proprio lavoro; più di un terzo è convinto che Intelligenza Artificiale (AI), Robot e Analytics aiuteranno ad essere più efficienti (74%), ad acquisire nuove competenze (73%) e a migliorare la qualità del lavoro (66%).

Quindi, entro il 2055 circa la metà dei salariati nell’economia globale (pari a 1,1 miliardi di lavoratori) potrebbero essere rimpiazzata da robot e da tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (AI). Secondo il report, il risparmio, in termini di buste paga, si aggirerebbe sui 12.000 miliardi di dollari.

Ricapitolando: nell’era della denatalità occidentale e delle forti resistenze popolari nei confronti dell’immigrazione, siamo proprio sicuri che la robotica e l’AI rappresentino una minaccia? O non sono un’opportunità incredibile per aumentare la produttività, mentre la forza lavoro non avrebbe la possibilità di crescere?

Mirella Castigli