C’è un gran parlare, anche da parte di chi nulla sa di tecnologia, dell’urgenza dell’appImmuni di Contact-Tracing per inaugurare la Fase 2, essendo una fase 1S, un minor update, quella che si apre dal 4 maggio.
Ho già raccontato sul blog Malatempora la strategia del sud-est asiatico (Sud-Corea, Singapore, Taiwan e Hong Kong) basata sull’approccio delle “Tre T”: Test, Trace, Treat (ovvero: fare tamponi, tracciare e poi separare i sintomatici – ma anche gli asintomatici – dai sani nei Covid-Hotel per spezzare le catene del contagio).
Al momento è inutile che tanti Soloni si sgolino per convincerci a scaricare l’app Immuni finché non ci spiegano nulla dell’applicazione. Perché tornare liberi si deve: ma da cittadini, non da sudditi. Ecco come, scendiamo nei dettagli.
In questa rassegna, ScenariDigitali.info sta analizzando cosa resterà dell’era pre Covid-19. L’Intelligenza Artificiale (AI) ai tempi del Coronavirus acquista nuovo slancio, poiché potrebbe avere un ruolo nel distanziamento sociale e nello svelare chi non indossa le mascherine obbligatorie.
Apple Tv, il dispositivo da connettere al televisore era nato quasi come un gioco, ma come ogni gadget sfornato dal colosso di Cupertino, ha generato profitti stellari. Da tempo, uno dei pilastri della macchina degli utili, la profit machine, di Apple è costituito dai Servizi, in crescita del 24% a quota 37.1 miliardi di dollari nel 2018: Apple Music (che sfida Spotify), iCloud , le apps di Apple Store eccetera e ora la Streaming Tv. Soprattutto mentre le vendite hardware (smartphone, personal computer e tablet, gli iPhone – i Mac e gli iPad) stagnano. E in questa logica, Apple reinventa la Streaming Tv e nell’evento di oggi (“It’s show time”) va oltre: sigla alleanze con gli studios di Hollywood, le stelle del cinema (del calibro di Jennifer Aniston, Reese Witherspoon, Oprah Winfrey e Steven Spielberg), editori di giornali e riviste: partecipano da subito Wired, The Wall Street Journal, Vanity Fair. L’annuncio di oggi è il più importante dal debutto di iPhone nel 2007, si sussurra nei quotidiani finanziari.
Ma è responsabilità di Cambridge Analytica se gli utenti di Facebook – ad ogni ora – postano sui social i video porno del mese, il piatto del giorno (non a caso detto foodporn), il titolo del libro sul comodino, l’ultimo acquisto effettuato nell’e-commerce, il nome del partito preferito alle elezioni, l’orientamento sessuale della cognata? No.
Siamo noi utenti a regalare ai social media tutti i dati, anche i più sensibili, siamo noi a disseminare la Rete delle nostre impronte, come se fossimo i nuovi Pollicino che spargono le briciole sul sentiero di casa, pur sapendo che questi dati verranno sfruttati, all’osso, per le profilazioni personali e per l’advertising mirato. Continue reading “Il caso Cambridge Analytica e Facebook: il re è nudo nell’era dei social”
Circa metà delle aziende non si è ancora preparata al varo del nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), che entrerà in vigore dal 25 maggio 2018 in tutti gli stati dell’Unione europea (UE).
Nessuno mette in dubbio la capacità di innovare delle aziende tecnologiche, anche se il rallentamento è evidente: nel 2004, all’indomani della quotazione di Google, dovevo scrivere 15-20 news al giorno, per stare dietro al lancio di nuovi servizi, oggi bastano 3-5 news quotidiane ed a volte sono perfino troppe.
Ma non è neanche questo il punto: la disruption è andata parecchio avanti, oggi l’Intelligenza Artificiale (AI) è una realtà e fa progressi day-by-day. Tuttavia, il declino culturale della Silicon Valley sembra segnato: Brad Stone di Bloomberg ha spiegato come Uber e Airbnb stanno cambiando il mondo, ma nessuno pensa più che questo progresso conduca a una società migliore. Anzi.
L’automazione (sia software con l’AI che hardware con i robot) ingurgita posti di lavoro, come il terrificante Pesce-cane inghiottisce Pinocchio nel libro di Collodi. La vita digitale divora la nostra privacy, ormai ridotta a feticcio, nonostante l’adozione della crittografia end-to-end, come pannicello caldo per passare un colpo di spugna sul caso NSA. Ma a strappare l’aura di eroi ai protagonisti della Silicon Valley è anche l’ascesa di personaggi spregiudicati, come Marissa Mayer, il Ceo di Yahoo! che guadagnerà 186 milioni di dollari come risultato dello spezzatino (la cessione di asset core a Verizon) e del silenzio su due gravissimi casi di data breach (uno ha compromesso gli account di un miliardo di utenti: un miliardo, non quattro gatti). Mayer, ex enfant prodige di Google, ha sprecato un paio di miliardi in decine di acquisizioni, che non hanno rivitalizzato Yahoo!, ma ne hanno accelerato il declino, fino allo showdown, la svendita di un brand storico della valle del silicio. Ma è forse meglio il controverso Travis Kalanick, il Ceo di Uber finito nel minirino dei media per varie accuse?
In questo scenario, si aggira non solo lo spettro dell’oligopolio, ma quello ben più opprimente dei feudatari della Rete. Secondo Pivotal Research, Google e Facebook detengono il 99% della crescita del digital advertising nel 2016. Google cattura l’88% del mercato dei motori di ricerca. Facebook, tramite la triade della messaggistica (Whatsapp e Facebook Messenger) più Instagram – detiene il 77% dei social media. Amazon (che non sta in Silicon Valley, ma ne condivide lo spirito) controlla oltre metà dell’e-commerce, ma raggiunge il 74% delle vendite di e-book. Apple fa il pieno dei guadagni: incassa il 79,2% dei profitti mondiali degli smartphone. Startup come Uber e AirBnb vengono continuamente contestate nel mondo, perché la sharing economy modifica i rapporti fra produttori e consumatori, trasformando i consumatori in nuovi produttori, ma contribuendo all’impoverimento ed alla de-professionalizzazione della classe media.
Nei giorni scorsi, per la prima volta Bitcoin ha superato il valore dell’oro e Tesla ha messo la freccia sulla GM a Wall Street. Ma la domanda da porsi è un’altra: basteranno queste notizie a frenare il declino culturale della Silicon Valley? O non si sta, progressivamente, erodendo il capitale di simpatia/utopia delle Big IT, accusate di pagare le imposte dove fa più comodo, di aiutare la diffusione di Fake news (mettendo a repentaglio la democrazia) ed additate di portare l’orologio della storia indietro ai tempi delle gabelle del sistema feudale? Forse un’operazione simpatia, questa volta, non sarà sufficiente per riportare in auge i nuovi Padroni delle Ferriere Digitali, la cui concentrazione di ricchezza e potere è perfino peggiore di quella di John Rockfeller e J.P. Morgan, come osserva con acume Jonathan Taplin.
Massimo rispetto della Privacy: nessuna racolta di dati personali
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